Confronto di diversi antibiotici in termini di rischio di infezione da Clostridium difficile acquisito in comunità

Comparison of Different Antibiotics and the Risk for Community-Associated Clostridioides difficile Infection: A Case-Control Study

PubMed

Riassunto:

Questo studio caso-controllo ha analizzato il rischio di infezione da Clostridium difficile (CDI) associato all’utilizzo di 27 antibiotici in ambito comunitario, analizzando i dati raccolti da un database di assicurazioni sanitarie statunitensi.

Sono stati inclusi 159.404 casi di Clostridium difficile acquisito in comunità (CA-CDI) e 797.020 controlli. La clindamicina è risultata l’antibiotico con il rischio più alto di CDI, seguita dalle cefalosporine di ultima generazione e dall’amoxicillina/clavulanato. Al contrario, le tetracicline (doxiciclina e minociclina) hanno mostrato il rischio più basso.

Lo studio ha evidenziato variazioni significative di rischio, sia tra le diverse classi di antibiotici, sia all’interno delle stesse classi. Ad esempio, l’amoxicillina/clavulanato ha mostrato un rischio significativamente più elevato rispetto all’amoxicillina da sola, e i fluorochinoloni hanno mostrato rischi intermedi ma variabili (es. ciprofloxacina più rischiosa della levofloxacina).

I risultati hanno importanti implicazioni cliniche per la prescrizione di antibiotici: gli antibiotici a basso rischio, come le tetracicline, possono essere preferiti in pazienti a rischio di CDI, mentre è fondamentale limitare l’uso di antibiotici ad alto rischio, come la clindamicina, a situazioni strettamente necessarie.

L’analisi ha inoltre confermato il ruolo di fattori predisponenti quali l’uso recente di antibiotici (entro 30 giorni), la terapia con inibitori di pompa protonica (PPI), la presenza di comorbilità e accessi ripetuti a strutture sanitarie (nei 90 giorni precedenti).

Grazie all’ampia popolazione studiata, le stime di rischio relative a ciascun antibiotico sono altamente affidabili e forniscono indicazioni utili per la pratica clinica e le strategie di stewardship antibiotica. Questi risultati rafforzano la necessità di un uso razionale degli antibiotici, privilegiando quelli a minor impatto sul microbiota intestinale per ridurre il rischio di CDI, soprattutto nei pazienti con fattori di rischio aggiuntivi.

Commento clinico:

Lo studio evidenzia l’importanza di comprendere e gestire con attenzione l’uso degli antibiotici, per ridurre il rischio di infezioni come quelle da Clostridioidium difficile (CDI), che sono strettamente legate all’utilizzo questi farmaci. La resistenza antimicrobica (AMR) rappresenta una minaccia globale per la salute pubblica e l’insorgenza di infezioni da Clostridium difficile è un esempio tangibile di come l’uso degli antibiotici possa favorire la selezione di patogeni opportunisti.

Alcuni antibiotici infatti, alterando profondamente il microbiota intestinale, creano un ambiente favorevole alla colonizzazione da parte di questo batterio. Per questo, nella scelta del trattamento, è essenziale valutare l’impatto sul microbiota del farmaco utilizzato.

L’adozione di antibiotici a basso rischio, come le tetracicline, possono limitare questi effetti collaterali, riducendo il rischio di CDI e preservando l’efficacia antimicrobica.

Lo studio sottolinea inoltre la necessità di ulteriori ricerche per esplorare il rischio associato agli antibiotici meno studiati, alla durata delle terapie e alle differenze tra sottopopolazioni, come gli anziani o i pazienti ospedalizzati. Lo sviluppo di nuovi antibiotici con impatti minimi sul microbiota potrebbe essere determinante per gestire la crescente crisi della resistenza antimicrobica.